20 dicembre 2017

Consigli per la lettura

Cari amici,

Non sapete che libro regalare o regalarvi a Natale? Questo blog vi viene in aiuto con una serie di consigli per gli acquisti scoppiettanti, che é un seguito alle recensioni (un po' datate) di Game of Thrones e 10 piccoli indiani/negri/soldatini! Buona lettura a tutti!




George Orwell, 1984 - Ecco il libro che mi fa guardare in cagnesco qualunque presa elettrica. Tra l'altro sono un grande fan dei Queen, e bisogna ricordare che il primo gruppo di Brian May si chiamava 1984: all'epoca quel nome aveva un sapore tutto futuristico, e non ridacchiate perché 2001 odissea nello spazio pure per noi aveva un sapore futuristico ed ora dovremmo sentirci se non vecchi almeno ridicoli.

Voti
  • 10 al libro.
  • 10 al libro nel libro che legge il protagonista.
  • 5 al titolo poco lungimirante che gia' lo fece snobbare dai futuristi perchè a suo tempo pareva già poco futurista.
  • 1 per avere ispirato il format del Grande Fratello, cosa sconosciuta a tutti i simpatici concorrenti. 




Alexandre Dumas, Viaggio in Calabria - Altro che Polo Nord, altro che popoli cannibali dell'Amazzonia: la Calabria era la localitá di villeggiatura definitiva per chi amava i viaggi estremi nel XIX secolo. Chiedetelo ai fratelli Bandiera che sbarcarono con nobili intenti e vennero presi a fucilate, o al nipote di Napoleone che arrivo' a Pizzo pensando di amministrare la Calabria trovando anch'egli una fucilata senza nemmeno il beneficio di un ultimo tartufo di Pizzo.

Beh, il nostro Dumas, dopo avere scritto i tre Moschettieri, pensò bene di diventare al momento in cui scrivo l'unico francese che abbia mai visitato la Calabria, vivendo avventure ben più temibili di quelle dei suoi personaggi di fantasia. Basti il climax rappresentato dai nomi dei capitoli a fare rabbrividire: Scilla, Pizzo, Maida, Cosenza, Terremoti.

Voti
  • 7.5 al libro
  • 9+ a Dumas per il fegato di venire in Calabria nell' 800 parlando italiano probabilmente con un accento ridicolo che ancora nel XXI secolo lo metterebbe a rischio di prendere botte per ogni dove.
  • 4 a quelli di Maida che condiscono l'insalata del povero Dumas con l'olio della lampada



Autobiografia di Ozzy Osbourne (I am Ozzy) - Grazie a questo libro potrete fare la vita da rock star senza muovervi dal vostro divano, e senza rischiare la vita in molteplici occasioni. A parte le miriadi di esempi non proprio edificanti offerti da Ozzy, c'é anche molto su cui riflettere. Per esempio, sapete come sono diventati famosi i Black Sabbath? Si appostavano con il loro furgone dove venivano organizzati grossi concerti, sperando che il gruppo famoso non si facesse vivo per poterlo sostituire. Per loro 'sta cosa ha funzionato, ricordatevene la prossima volta che qualcuno vi dice di lasciarci perdere perché non riuscirete mai a raggiungere il vostro obiettivo!

Voti
  • 5 al libro (letterariamente)
  • 9+ al libro (perche' fa ridere)






Nicola Valletta, "Il Celebre Trattato della Jettatura" - Non sapete come distinguere uno jettatore quando lo incontrate per strada? Non siete sicuri se é meglio grattarvi discretamente, toccare del legno o fare le corna? Si possono incanalare queste oscure forze della suca e della jella a proprio vantaggio? Leggere questo fantastico libro pubblicato nel 1891 e tutte le vostre curiositá verranno esaudite! Un libro decisamente noioso, ma il cammino verso la conoscenza non è mai stato semplice.

L'autore tra l'altro si lancia anche in utopiche visioni di un mondo migliore, delle quali voglio proporvi un estratto:
"... sarebbe da desiderarsi, che qualche sacro ingegno una scienza ragionata della jettatura tessendo, scuole ne aprisse negli Stati meglio regolati, e gli uomini di tutte le condizioni a conoscer bene, a fuggire i jettatori istruisse; anzi che fare de' nuovi sistemi, e rovinare l'uomo e il mondo per riformarlo."

Ecco, potete essere i primi ad aprirla davvero, questa scuola della jettatura. Tanto tra gente che pensa che la terra é piatta e che va appresso alle scie chimiche non vi dirá niente nessuno. Sarebbe la cosa piú simile alla scuola di Harry Potter che si sia mai vista!

Naturalmente scherziamo, questo blog non crede nella jettatura et similia, a parte quando Pizzul commentava le partite della nazionale.  Che poi ancora non capisco il "della" anziche' "sulla" nel titolo: é come se il libro l'avesse scritto la jettatura in persona.


Voti
  • 2 al libro.
  • 9 agli iettatori: avete dei superpoteri tipo Scarlet Witch e non li sfruttate per salvare il mondo né niente.
  • 3 a chi crede nella iettatura. Gli toccherá un 2018 di malasorte!




Robert Louis Stevenson, "L'Isola del Tesoro" - Questo libro l'ho letto mille volte, e a tutte le etá mi é piaciuto da matti. L'Avventura con la A maiuscola, tenuta in piedi dal pirata Long John Silver che é forse il mio 'cattivo' preferito della letteratura. Un ottimo modo tra l'altro per sognare i Caraibi in notti fredde come queste.

Voti
  • 9 al libro
  • 10 a Long John Silver
  • 8 Peeeezzi da otto! Peeeezzi da otto!




Daniele Cerra, "Sangu" - Un libro davvero togo! Buone feste a tutti!

21 gennaio 2017

Sangu - capitolo 2: il vicecommissario Longo





 “Ma quantu minchiati”, esclamò il vicecommissario Gianfranco Longo davanti alla televisione. Non ce la faceva più a seguire gli episodi del famoso commissario di Vigata in TV: ma quando mai nella vita reale ti capitavano casi del genere, traboccanti di femme fatale (e chi lo sa il plurale) che vengono a cenare in veranda a casa tua, e l’amica svedese stangona di 2 metri che quando ti serve un passaggio ti scarrozza in giro per il paese? Lui al commissariato di Terina aveva a che fare quando gli andava male con brutti ceffi barbuti del peso nell’ordine del quintale, e quando gli andava bene con brutti ceffi sbarbati del peso nell’ordine del quintale.

 “Ma vafanculu”, ribadí mentre il commissario baciava una donna che aveva provato a farlo secco un quarto d’ora prima, spegnendo la TV e accendendo una sigaretta per compensare. Ma poi l’avevate visto l’ufficio di Montalbano, e pure quello del suo vice? Ci potevi giocare a calcetto. Longo invece stava in uno stanzino che era grande la metà, e che poteva occupare solo a metà, perché doveva pure condividerlo con l’agente Antonio Santo, che tra l’altro non sopportava. Anzi solo pensare al suo collega gli faceva aumentare il nervosismo.

“Papà, papà, papà!” gridavano all’unisono i quattro figli di Longo, di età compresa dai 6 ai 12 anni, accompagnati dalla cugina dirimpettaia che li aveva invitati a fare merenda insieme ai cuginetti. Volevano cenare, giustamente le loro offerte al dio della fame non potevano essere placate da una semplice merendina al cioccolato, e la mamma ancora non era tornata dal turno di lavoro serale per cucinare. I maschi si chiamavano all’anagrafe Tom, Sylvester e Johnny, mentre la piccolina di 6 anni si chiamava Julia. Questo capita quando hai una moglie appassionata di attori hollywoodiani, in ordine di preferenza Cruise, Stallone, Depp e Roberts: che poi manco lui si ricordava come si scrivevano sti nomi strampalati, e i figli alla fine li chiamava Tommaso, Silvestro, Gianni e Giulia. Ogni volta che doveva compilare moduli ufficiali dove doveva inserire i dati sensibili dei figli delegava tutto alla moglie, era pure giusto visto che si era fissata che Francesco no che è noioso, Paolo ci si chiama già il cugino, Marco no che poi lo chiamano “Marco da a castagna” (sta cosa veramente l’aveva sentita dire solo a sua moglie), Antonio ci si chiama il figlio del vicino e pare che li copiamo. E si, mo ci inventiamo un nome nuovo per ogni bambino che nasce. Ma, comunque si chiamassero, quei bambini erano la sua piú grande gioia e la sua più grande ricchezza, ma al tempo stesso lo facevano uscire pazzo… mentre continuavano a gridare “Papà fame”, “dov’è mamma”, “voglio acqua” e “voglio un gelato”, trovavano il tempo di tirarsi i capelli, piangere, provare a sfilare dalla tasca il telefono al papà per giocarci al gioco degli uccellini che distruggono i maiali e guardare su un tablet un cartone animato di Peppa Pig, non si sa come simultaneamente. Mettendo a scaldare nel forno le lasagne avanzate dalla sera prima, il commissario pensò che per fortuna l’indomani era un giorno lavorativo, e cosí si sarebbe potuto riposare nu pocu il cervello, salvo chiamate per rapine, sparatorie e cose varie. Ma mica potevano capitargli tutte a lui, no? Pure i criminali avranno figli, domani che li rimanderanno a scuola si vorranno riposare pure loro, o no? La moglie Antonietta li raggiunse per cena, e la mezza dozzina di cristiani divorò le lasagne in pochi minuti.

Una volta a letto, il commissario astutò la luce ma non riusciva ad addormentarsi. Sta faccenda del commissario Montalbano gli aveva fatto nchianare i cazzi. Che poi non s’era capito, quelli della televisione stavano in Sicilia, mica a Milano. Eppure non avevano mai problemi, sempre macchine a disposizione, autisti, uscieri, rinforzi che arrivavano subito… la realtà lavorativa che lui conosceva era ben diversa. Ogni giorno era una lotta: non solo contro i criminali, che a Terina erano di tutti i tipi, organizzati e cani sciolti, pesci grandi e pesci piccoli, intoccabili amici dei politici e poveri disperati… ma anche contro la burocrazia, che rendeva ogni indagine lenta e ferruginosa; contro l’impotenza verso chi, sotto minaccia, veniva a chiedere protezione senza sapere che i mezzi della polizia per garantirla non erano adeguati; contro lo Stato, che da una parte gli lasciava le volanti senza benzina e dall’altro pretendeva che venissero sgominate famiglie della ‘ndrangheta un giorno sí e uno no, salvo poi prendersi i meriti per l’operato di lui e dei suoi colleghi quando nonostante mille difficoltà ci riuscivano sul serio, a sbatterne uno dentro…ma domani non sarebbe stato cosí, se lo sentiva. Domani avrebbe passato una tranquilla giornata di ordinaria amministrazione, ne aveva proprio bisogno. Un caffè, due chiacchiere, un giro di ronda, due controlli, mettere due firme e mezzo pacchetto di sigarette con Tommaso. Con quel pensiero rassicurante, riuscí ad abbandonarsi tra le braccia di Morfeo, ignorando tra l’altro chi fosse. Perché il commissario Longo era risoluto, caparbio e coraggioso, ma di studiare non ne aveva mai voluto sapere. E che ce ne fotteva a quello che stava rapinando la gioielleria sul corso principale della città quanti libri c’ha la Divina Commedia? Le qualità che gli erano servite per arrestarlo qualche settimana prima erano state ben altre. Longo Gianfranco era pragmatico, anche se non sapeva cosa volesse dire. Ste cose erano inutili, nel suo lavoro.

Il vicecommissario era di statura medio-bassa e la sua capigliatura l’aveva abbandonato tanti e tanti anni prima, ed ormai nemmeno si ricordava più che volesse dire passarsi una mano tra i capelli. Nonostante ciò, aveva un certo richiamo da uomo rude che, insieme agli occhi grigio-verdi ed al naturale fascino per la divisa, lo aiutava a non sfigurare affatto in giro per Terina. La mattina dopo, poi, era anche favorito da un sorriso smagliante: si alzò stranamente di buonumore, si fece la barba ed arrivò di buon mattino in commissariato, senza sospettare che quello stato di grazia non sarebbe durato a lungo.

Una volta entrato nel suo ufficio, a suo dire minuscolo, trovò l’agente Santo seduto alla scrivania intento a riempire dei moduli al computer con la bocca aperta. Santo si occupava principalmente di sbrigare pratiche burocratiche, che spesso ingarbugliava all’inverosimile sbagliando nomi e invertendo date, ed era capace di stare con la bocca aperta senza proferire parola a scrivere, sbagliare, riscrivere e risbagliare moduli e pratiche per una giornata intera. E quello che mandava il commissario Longo su tutte le furie non era tanto l’intrinseca inefficienza dell’appuntato, quanto quella dannata bocca aperta tutto il giorno. Il buongiorno di Longo fu:
“Mmmh, mmh… Già ccà si?”
 Il collega lo ignorò, continuando a battere sulla tastiera. Dopo cinque minuti Longo perse la calma:
“Ma insomma, u chiudi stu scifu o no?” sbottò.
L’appuntato, sempre senza guardarlo, gli rivolse per la prima volta la parola:
“Ma che vuol dire scifo? Devo chiudere la finestra? Ti fa freddo?”
“Se, a finestra i mammata!”, ribatté Longo. “Ma sei di Milano tu? Di Torino? Di Roncobilaccio, i nduvu si?”, provò ad abbassare il tono della voce: “aspetta nu minutu mu mi calmo, ca sinnò…”, respirò a fondo prima di continuare:
“Allora, lo scifo sarebbe chilla cuadara dove ci entra nu maiale sanu…”
“Cuadara…?”
“NA TIELLA, CUMU A CHIAMI!!”
“Tiella…?”
“COLLÉ, NA PENTOLA! Mannaia all’anima i cui! Ma cumu c’ha campatu ccà fino a 45 anni? Ma ccú chilla pistola ca tiani picchí un ti ci spari che fai nu favore a tutti quanti? E chiudi stu scifu: CHIUDI LA BOCCA! Se favello in italiano mi capisci, se? Madonna du u Carminu!”

L’agente pensò di chiedere cosa volesse dire “favellare”, visto che l’esiguo tempo che Longo aveva dedicato allo studio nella vita sembravano millenni, se paragonato a quello che vi aveva investito lui; alla fine però decise di chiudere la bocca e tacere. Ma tempo per Longo di attaccare la giacca all’appendiabiti e prendere posto alla scrivania, che la cavità orale di Santo era nuovamente spalancata, mostrando una fila di denti in verità bianchissimi, che tra l’altro facevano stridore con la carnagione molto scura del gracile collega. E pure questo faceva innervosire Longo, la cui dentatura dopo 30 anni di Marlboro (seppur “Laiz”) aveva assunto un colorito giallo paglierino.

“O Santo, ti giuru supra a mmaculata santissima che mi fai venire cchiú nirbusu tu di na caffettiera da 10 cullata sana sana!”, sbottò il vicecommissario per l’ennesima volta, venendo ignorato per l’ennesima volta. Ma come c’era finito in polizia questo qua? E poi, tra tutte le persone al mondo, perché lo costringevano a stare in ufficio con lui? Aveva chiesto dapprima un ufficio per lui solo, ma gli era stato negato per insufficienza di fondi. Dopodiché aveva chiesto almeno il trasferimento nell’ufficio del suo amico agente scelto Tommaso Palazzo, ma il commissario si era opposto perché secondo lui “le persone diverse si compensano”. E si, tutti pissicologi e pissichiatri erano là, tutti prufissuri Ed ecco che dopo manco cinque minuti già la sua giornata era rovinata, visto che lui doveva stara là a “compensare” Santo. Gli avrebbe fatto volentieri na compensata di scaffi, a lui e a quell’altro che lo costringeva a dividerci l’ufficio.
 
Che poi a dire il vero un lato positivo l’agente ce l’aveva: aveva dato a Longo una maniera di sfogarsi verbalmente senza urtare la sensibilità di chicchessia. Chi passava per i corridoi della centrale o incontrava Longo per strada aveva un’alta probabilità di sentire riecheggiare la frase ‘mannaia a Santu!’, che sembrava blasfemia ma blasfemia non era. Mentre guardava la foto dei figli nel portafoglio per calmarsi un attimo, il commissario sentí avvicinarsi fuori dalla porta l’inconfondibile passo strascicato del commissario. L’ufficio di Longo e Santo era in fondo al corridoio, dunque non vi erano dubbi che si stesse recando proprio da loro. L’idea della mattinata tranquilla (benché già rovinata dalla mera presenza di Santo) cominciava a svanire dalla testa del vice. E difatti, la porta si spalancò, e l’autorevole e rispettato commissario Randelli riempí la stanza con la sua presenza, ed aprí la bocca come l’appuntato Santo, ma stavolta con un motivo valido, cioè per parlare:
“O Longo, devi andare urgentemente a Spagnamiglio, sembra sia successo un casino…”
“Dove gli zingari? Che si sono fottuti stavolta?”, rispose Longo.
“Longo, sono stati esplosi dei colpi di arma da fuoco”, riprese il commissario, “ed è già successo qualche ora fa, intorno alle 15: sembra che qualcuno abbia sentito sti spari, ma prima di decidersi a chiamare c’abbia messo una vita, qua pure dell’ombra loro hanno paura. Non abbiamo altri dettagli. Portati l’agente Santo e muovetevi.”

Longo si alzò in piedi ed uscí dalla stanza, socchiudendo la porta e chiedendo a bassa voce:
“Commissà, permettete una parola… ma non posso portarmi a Tommaso? Se ci sono stati spari magari c’è qualche situazione pericolosa, e Santo non l’ha mai cacciata na pistola dalla fondina in vita sua! Non sa proprio come si utilizza! È come se mandate nu muraturi a riparare un impianto elettrico… anzi, manco: è come se mandate uno ca un sa proprio nenti-nenti-zero-sutta-zero a riparare un impianto elettrico! Come se ci mandati nu cani, cumu se un ci mandati a nissunu, a stessa cosa!”
La reazione di Randelli fu iraconda:
“L’agente Palazzo è ammalato, smettila di perdere tempo e muoviti! Hai capito che hanno sparato e non c’è tempo da perdere, si? Tu fai quello che ti dico e basta! Pure se ti dico di portarti Santo in villeggiatura in Sila, tu non fiati e te lo porti in Sila! Va bene?”
“Commissà, poi però con mia moglie ci parrati vua: se mi porto sto sciacqualattughe in vileggiatura chilla mi stacca a capu prima a mia e poi a bua… a parte che personalmente noi preferiamo la marina, perché poi i bambini alla muntagna dopo nu pocu…”
“MUOVITI!!"

Maledicendo il suo compagno di ufficio per la quarta volta da quando si era alzato, Longo rifece capolino nell’ufficio:
“O Santo, appizza a machina e jamunindi…”.
Mentre l’agente, sempre senza rispondere né guardarlo negli occhi, si alzava di scatto e gli passava davanti uscendo dalla stanza, Longo l’apostrofò:
“Ma cum’è ca un t’ammali mmai tu?”

15 gennaio 2017

La storia del tuo nome

Figlio mio,

benvenuto in questo mondo bellissimo e difficile. Scrivo questo post così, quando sarai grande abbastanza, potrai leggere la storia di come mamma e papà siano finalmente riusciti a scegliere il tuo nome.

Se la tua parte calabrese avrá il sopravvento su quella spagnola e quella tedesca, ti starai chiedendo come mai ci sia bisogno di spiegare alcunchè. Come ben sai, nell'Italia meridionale non siamo abituati a discutere per  mesi sulla selezione dei nomi più adeguati da appioppare alla prole. In genere, in Calabria, i dialoghi sono del tenore seguente:

Moglie - Caro, nascerá masculu!
Marito - Che bella notizia, Marí! Allora lo chiamiamo Peppino, come il nonno.
Moglie - Va bene.

Un anno dopo

Moglie - Caro, nascerá fimmina!
Marito - E va beh... Marí, la chiamiamo Antonietta, come la nonna.
Moglie - Va bene.

Due anni dopo

Moglie - Caro, anche questo sará maschio!
Marito - Marí, rinnoviamo mio zio Albertino, che poveraccio non s'é sposato?
Moglie - Secondo lo statuto calabrese dei miei diritti sulla scelta del nome, dopo aver rinnovato i nonni perdi qualunque opzione sui nomi successivi. Quindi questo lo chiamiamo Georgeclooney.
Marito - Va bene.

Quale linearità, quale semplicità! Ma come sai, figlio mio, tu sei nato in Germania da una mamma spagnola, e nel tuo caso la situazione si presentava alquanto più complessa. Il nome da scegliere per te doveva possedere i seguenti requisiti:
  1. Non cambiare dall'italiano allo spagnolo (Giuseppe - Josè).
  2. Non essere poco intellegibile in tedesco (Asdrubale, scartato anche per altri motivi).
  3. Non contenere il suono "Ce" allitterante con il cognome perché a mio cugino con il fatto che ha chiamato la figlia Cecilia gli stiamo facendo i chiodi da un anno.
  4. Non essere troppo lungo, perché il bambino avrá giá il doppio cognome alla spagnola, ci manca il nome lungo (tipo Gianqualcosa).
  5. Non essere riconducibile a dittatori fascisti spagnoli (Franco).
  6. Essere gradito sia dalla mamma che dal papá.
Naturalmente nessun nome possiede tutte queste qualitá contemporaneamente. Nel nostro caso, dopo mesi e mesi di duelli verbali e studi di elenchi di nomi propri, siamo arrivati a una lista di quattro candidati:
  1. Mario
  2. Leonardo
  3. Davide
  4. Lorenzo
Ma il momento del tuo arrivo si avvicinava, e non riuscivamo a convergere su uno di questi. A questo punto, figlio mio, abbiamo deciso di fare scontrare questi nomi tra di loro e assegnarti il vincitore. Il tabellone delle semifinali aveva questo aspetto:

Knockout phase


La storia di questi scontri é andata piú o meno così. 


Semifinale 1: Davide/David vs. Leonardo

 

I due nomi sono difesi dal David di Michelangelo e da Leonardo Da Vinci, rispettivamente. Lo statuario David si avvicina a Leonardo brandendo la sua fida fionda, con un sorrisetto sprezzante sulle labbra:

David - Vegliardo, fatti da parte! Sono nel fiore dei miei anni, sono fatto di roccia, e lo sappiamo tutti che tu a fare sculture non sei mai stato bono. Quel cavallo che modellasti non arrivasti mai a concretizzarlo, te lo ricordi? Arrenditi e salva la tua dignità!

Leonardo - Io, arrendermi davanti alla creazione di quel villano di Michelangelo? Che succede, siccome lui é mingherlino manda avanti i suoi vili scagnozzi?

David - Purtroppo per te il nome Michelangelo non si é qualificato per la fase finale, e ti trovi me davanti. E ora, preparati ad affrontare la morte, non ho tempo da perdere e non ti offriró nuovamente di farti da parte e lasciarmi passare.

Leonardo - Vediamo... Davide, David.... mi sembra che qualcuno sia qui solo perché raccomandato, visto che in italiano e in spagnolo ti chiamano in modi diversi... 

A quelle parole, visibili crepe iniziano ad aprirsi sulla superficie della statua.

David - Ohibò, sono esterrefatto! Quale magia stai architettando, vecchio?

Leonardo - Io non sono Golia, sono Leonardo Da Vinci. Qualunque uomo si onorerebbe di fregiarsi del mio nome. Ora torna a marcire su quel piedistallo, se vuoi.

Il David fa un passo verso Leonardo ma la sua gamba, dopo essersi separata dal rinforzo modellato nel marmo dal suo scultore, non puó sostenere il suo peso notevole, e la statua cade al suolo frantumandosi.



Semifinale 2: Mario vs. Lorenzo

 

I due nomi sono difesi da Supermario e Lorenzo il Magnifico, rispettivamente, che si fronteggiano nella stanza di un palazzo rinascimentale.

Lorenzo - E così, Mario, tu così bassino vorresti incutermi timore? Con questi baffoni? Ti trovo addirittura... tenero.

A quelle parole Mario, visibilmente preoccupato, inizia a frugarsi freneticamente nelle tasche. Dopo pochi secondi, un sorriso si dipinge sul suo volto mentre tira fuori un fungo dal cappello rosso a pois bianchi.

Mario Adesso vedrai, uomo dal taglio di capelli ridicolo!

Dopo aver ingerito il fungo, Mario cresce sotto gli occhi sgranati di Lorenzo il Magnifico fino a diventare enorme. A quel punto, Lorenzo decide di cambiare strategia, estraendo dalle vesti una voluminosa borsa piena di monete.

Lorenzo -  Perché affrontarci fisicamente? Posso darti tutto l'oro che vuoi! Perché non c'é oro che possa ripagare un mio ritorno in giovinezza, che si fugge tuttavia. Chi vuol esser lieto sia, di doman non v'è certezza!

Così dicendo, Lorenzo il Magnifico riempie la mano di monete d'oro purissimo e le scaglia addosso a Mario, sicuro del fatto che la sola vista di quel denaro scintillante avrebbe immediatamente corrotto il piccolo idraulico. Ma le monete, a contatto con il cresciuto Mario, scompaiono nel nulla.

Lorenzo - Quale diavoleria...?

Mario Non chiedermi perché, buffo uomo, ma ogni volta che mi avvicino alle monete, quelle scompaiono! Hai scelto l'arma sbagliata!

Senza perdere ulteriore tempo, Mario spicca un balzo impensabile per la sua stazza, uscendo dalla stanza e chiudendo la porta a chiave dietro di sè. Adesso mancava solo un ultimo ostacolo da superare.



Finale: Mario vs. Leonardo

 

Mario e Leonardo si fronteggiano ai due estremi di una sala molto grande, e ognuno aspetta la prima mossa dell'altro.

Il primo a muoversi é Leonardo, che senza convenevoli scaglia contro Mario una serie di ordigni volanti formati da tela, corde, carrucole ed altre diavolerie. Mario salta sopra uno degli ordigni che scompare, ma viene colpito in pieno volto da un secondo e ritorna alle sue dimensioni iniziali.

Il piccoletto non si perde peró d'animo, e per un paio di minuti correndo e saltando riesce a schivare gli attacchi probabilmente mortali degli ordigni e a ingerire un altro fungo, ritornando alle precedenti dimensioni gigantesche. Coordinandosi alla perfezione, Mario riesce a saltare sulle macchine leonardesche che scompaiono, e si para davanti all'artista e scienziato senza paura.

Dalla tasca tira fuori uno strano fiore simile a un girasole, lo ingerisce e il suo vestito rosso diventa bianco.

Mario Mi dispiace, vegliardo. Il mio nome è uguale anche in tedesco, non puoi competere contro di me. Aduuuuuuuunken!

Dalle mani dell'idraulico italiano esce una palla di fuoco contro la quale nulla può il povero Leonardo. Mario si piazza al centro della stanza e spicca un festante balzo:

Mario Marioooooooooooooo wins!

Ora lo so che stai pensando, figlio mio: che tu non ti chiami Mario. E questo perché, in quel momento, il piccolo idraulico viene colpito a tradimento alle spalle da uno sganassone assestato con notevole violenza, diventa di nuovo piccolino e stramazza al suolo nella sua consueta tenuta vermiglia.

"Non sei un vero italiano, tu, chi vuoi prendere in giro? Sei nato in Giappone, nanerottolo!", si sente urlare contro Mario da un carismatico personaggio che si sta accendendo una sigaretta:




L'idraulico, già sconfitto, si gira verso l'uomo che torreggia sopra di lui e sconvolto lo indica con disprezzo prima di rivolgergli la prola.

Mario - Ma... ma... tu non hai partecipato alle eliminatorie! Nessuno ti ha calcolato fino ad ora!

Marcello - Stavo aspettando nell'ombra che vi eliminaste a vicenda per prendermi il trono. Bravi fessi!

Mario - Ma... non hai i requisiti! In spagnolo ti manca una L!

Marcello - Embé? Mi ha chiamato la mamma credendo che il mio nome fosse una giustapposizione di 'mare' e 'cielo', mi sono imbucato a matrimoni con molto meno. A me me manca na L, a te però ti mancherá un dito, se non la smetti di puntarmelo contro in quel modo.

Mario - Ma poi... c'hai dentro il nome il suono 'Ce'! Quello é assolutamente vietato dal regolamento! A quell'altro col fatto di Cecilia...

Marcello - Dai retta a me, Mariè, torna a fare l'idraulico e lascia lavorá in pace i professionisti!

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Caro Marcello,

ecco spiegato come ti sei ritrovato il nome che hai. Immagino che ti sentirai onorato del fatto che tutti questi personaggi di enorme caratura abbiano fatto tutti questi sforzi per aiutarci a sceglierlo! Dal canto mio, gliene sarò sempre grato.

Ti mando un forte abbraccio,
il tuo papà